A rendere così chiare le acque lungo le nostre coste non sarebbe solo il fermo delle attività umane ma, in maniera più preoccupante, il riscaldamento climatico. Il rischio è quello di veder crollare la produzione di pesce nei nostri mari, con conseguenze gravissime anche per il settore della pesca

Virus e mare pulito: una narrazione che non convince
Acque cristalline e fondali incontaminati. Sono queste le immagini che da ogni parte d’ Italia hanno accompagnato il sogno di tanti cittadini che attendono fiduciosi l’estate e la tanto agognata libertà. “Il Coronavirus ha ridato lucentezza e splendore ai nostri mari”, questo il messaggio che da più parti ha incorniciato le foto e le riprese diffuse da giornali e siti web.
Ma dietro tanta bellezza sembra nascondersi invece l’insidia di un preoccupante effetto dei cambiamenti climatici: la mancata produzione di fitoplancton che è alla base della catena alimentare
A lanciare il sasso è stato l’ex direttore della Stazione Zoologica Anton Dohrn, Vincenzo Saggiomo, che ha spiegato come le acque torbide, soprattutto in primavera e autunno, siano un fenomeno naturale e imprescindibile per l’ecosistema marino, e come la sua assenza sia un segnale preoccupante per il mare e per il comparto della pesca.

Il fitoplancton, risorsa inestimabile
Alla base del funzionamento dell’ecosistema marino ci sono le alghe, la cui componente più numerosa è composta da alghe microscopiche che vivono sospese nell’acqua e prendono il nome di fitoplancton. La quantità di queste alghe in mare non è fissa, ma varia con un andamento ciclico in cui la primavera e l’autunno sono i momenti in cui vi è la maggiore produzione.

La produzione del fitoplancton dipende infatti da due fattori: il sole, che permette la fotosintesi, e il nutrimento, che non è altro che l’insieme dei sali minerali che si trovano disciolti in acqua.
Durante l’estate il riscaldamento del mare divide le acque superficiali da quelle profonde; le alghe che crescono nello strato superficiale consumano gradualmente tutti i nutrienti e la loro crescita si arresta. In autunno, il raffreddamento delle acque rompe questa stratificazione e consente l’arrivo in superficie dei nutrienti conservati in profondità, permettendo il rinnovo della produzione algale. Durante l’inverno quindi, l’acqua in superficie si arricchisce di nutrienti e all’arrivo della primavera, con le prime giornate soleggiate, il fitoplancton esplode rendendo l’acqua torbida.

Che cosa è andato storto?
Quello appena passato è stato l’inverno più caldo degli ultimi 30 anni, con una temperatura media di 3 gradi oltre la media; l’effetto è stato quello di impedire allo strato profondo e a quello superficiale di mescolarsi, bloccando quindi il ritorno in superficie dei nutrienti conservati nello strato profondo, dove la poca luce che arriva non permette la fotosintesi.
Il risultato è sotto l’occhio di tutti noi: senza nutrienti le alghe non riescono a crescere e le acque risultano più limpide e pulite. Ma quello che appare come un meraviglioso regalo, è invece una vera e propria sciagura per l’ecosistema. Senza alghe, mancherà la base della catena alimentare, con conseguenze enormi sulla pesca e anche sulla acquacoltura. Il fitoplancton è infatti la principale fonte di nutrimento anche per le cozze, il cui allevamento rappresenta una importante fonte di sostentamento per tanti operatori del settore.