
Per lungo tempo i sistemi di gestione delle vasche marine, basati sulla semplice filtrazione biologica, rendevano impossibile l’allevamento di organismi delicati come i coralli duri, che erano pertanto ritenuti impossibili da allevare in vasche a circuito chiuso.
L’avvento del metodo “Berlinese” ha stravolto il mondo di questo meraviglioso hobby, aprendo le porte alla riproduzione in casa di veri e propri angoli di reef. Negli anni a venire, ulteriori evidenze scientifiche hanno condotto a testare strategie di gestione ancora differenti, ed oggi al metodo Berlinese si affianca l’impostazione detta “DSB”, contendendo al primo il ruolo di sistema più efficiente per la conduzione di un acquario marino tropicale.
Il metodo Berlinese: la svolta nell’acquariologia marina
Il limite principale della conduzione tramite semplice filtraggio biologico consiste nell’accumulo dei sali che rappresentano il termine ultimo dei principali cicli biochimici in vasca, in particolare nitrati e fosfati. Il filtro biologico tende infatti a produrre un surplus di questi composti che vengono in genere rimossi periodicamente attraverso i cambi d’acqua.
Se questo procedimento è sufficiente a garantire il benessere di organismi resistenti come i pesci , è assolutamente insufficiente per le esigenze degli invertebrati più delicati. Il metodo Berlinese consente di risolvere il problema attaccando su due fronti: rimuovere meccanicamente gli inquinanti e favorire il processo di denitrificazione.
Le rocce vive nel metodo Berlinese
Il primo passo avanti nel metodo berlinese è dato dalla realizzazione di un micro-bioma batterico che supera i limiti del filtro biologico permettendo, oltre alla classica trasformazione dell’ammoniaca in nitrito e poi nitrato, la scomposizione di quest’ultimo in azoto gassoso e ossigeno; tale processo, noto come “denitrificazione” avviene nelle cavità porose delle rocce vive.
Le rocce vive,in proporzione di 1 kg ogni 5 lt, sono essenziali nell’allestimento di un acquario con sistema Berlinese. Si tratta di rocce molto porose raccolte nei fondali dei mari tropicali, trasportate e stoccate nei negozi europei con metodi che consentono la sopravvivenza dei microorganismi in esse contenuti.
Nelle minuscole cavità di cui queste rocce sono ricche si determina un gradiente negativo di ossigenazione, con le zone più esterne che risultano molto ossigenate e con quelle più interne in cui si raggiunge un ambiente anossico, cioè privo di ossigeno, necessario allo sviluppo dei batteri denitrificanti. In questo modo il ciclo dell’azoto si esaurisce del tutto e le scorie azotate non si accumulano nell’acqua.
Lo schiumatoio, il cuore del sistema berlinese
Le rocce vive da sole non sono sufficienti a garantire le condizioni necessarie al benessere della vita in acquario. Sebbene dal punto di vista chimico il processo sia ideale, infatti, le rocce da sole non sono in grado di processare tutto il materiale che si produce in una vasca.
Rispetto all’ambiente naturale, infatti, la concentrazione di sostanza organica è estremamente superiore, rendendo necessario una riduzione fisica di quest’ultima che accompagni il trattamento chimico perato dai batteri. Tale delicatissima funzione è svolta dallo schiumatoio, l’accessorio più importante di tutto l’allestimento berlinese.
Lo schiumatoio permette l’estrazione meccanica dei composti inquinanti dall’acqua, che vengono intrappolati nelle microbolle prodotte dalla schiumazione e raccolte nel bicchiere posto in cima ad esso. Questo processo consente di riprodurre le caratteristiche oligotrofiche tipiche delle acque di barriera, rende l’acqua cristallina e consente la proliferazione anche dei coralli più esigenti.
La dimensione dello schiumatoio va considerata con grande attenzione, poiché se è vero che uno schiumatoio troppo piccolo non riesce a eliminare tutta la sostanza generata dal catabolismo dei nostri ospiti, uno dalle dimensioni troppo generose può essere controproducente a causa di una eccessiva rimozione di minerali essenziali come lo iodio.
L’illuminazione nella gestione dell’aquario berlinese
La scelta di un adeguato impianto di illuminazione è fondamentale per la riuscita di una vasca con metodo Berlinese. I coralli tropicali proliferano grazie alla simbiosi con le zooxantelle, alghe unicellulari appartenenti al gruppo dei dinoflagellati.
Perché queste alghe proliferino garantendo il benessere degli antozoi è necessari che la luce sia abbondante e della giusta qualità. La qualità della luce è determinata dalla lunghezza d’onda in cui si concentra la maggior parte della radiazione emessa, e questa è misurata dai famosi gradi Kelvin (°K).
Le alghe zooxantelle necessitano di luce bianca ad alta gradazione, per cui sarà necessario dotare la vasca di lampade in grado di produrre luce tra i 10.000 e i 12.000 °K. Attualmente le soluzioni tecniche preferibili ricadono sulle lampade HQI o sulle plafoniere a Led di ultima generazione.
Movimento dell’acqua
All’interno di una vasca anche se ben architettata e progettata, possono verificarsi degli accumuli di sostanze indesiderate in alcuni punti o, al contrario, possono stabilirsi delle zone scarsamente ossigenate. E’ pertanto fondamentale che l’ambiente venga reso omogeneo, distribuendo egualmente sali e gas disciolti in tutto lo spazio disponibile.
Per ottenere tale omogenizzazione delle condizioni chimico-fisiche si ricorre, nel metodo berlinese, a specifiche pompe di movimento. La collocazione delle pompe in un acquario con metodo Berlinese deve essere tale da consentire il ricircolo dell’acqua in tutta la vasca.
Oltre alla distribuzione omogenea delle sostanze disciolte, il corretto movimento dell’acqua favorisce anche una maggiore ossigenazione, con tutti i benefici che ne derivano.
Dal Metodo Berlinese al DSB
DSB è un acronimo e sta per Deep Sand Bed, ossia “Letto di sabbia profondo”. Questa sigla riflette infatti l’elemento principale che caratterizza questa configurazione, che in molte cose riprende i concetti e i processi dell’acquario gestito con metodo Berlinese.
Nel DSB le rocce vive perdono il ruolo di supporto principale del microbioma batterico, che invece viene ospitato all’interno di un fondo di aragonite spesso da 9 a 12 cm. Questo alto fondo di sabbia molto fine, infatti, permette la creazione di uno strato anossico dove avviene la denitrificazione.
Rispetto al berlinese, tale processo avviene in maniera più massiccia e quindi efficiente. Inoltre i batteri presenti all’interfaccia acqua/sabbia competono con le alghe per i nutrienti, limitandone così la proliferazione.
Confronto tra metodo Berlinese e DSB
Come detto, questi due sistemi si fondano su concetti basilari simili ma differiscono per la tipologia di supporto utilizzato per ospitare i processi batterici. Rispetto al metodo Berlinese, il DSB consente una riduzione più efficiente delle scorie azotate e dei fosfati, consentendo di ridurre teoricamente la portata dello schiumatoio e quindi di conseguenza l’entità delle integrazioni di minerali che vanno apportate all’acquario.
Di contro, la manutenzione di un DSB è più impegnativa e occorre assicurarsi che l’altezza del fondo non vari mai nel tempo. La scelta tra l’uno o l’altro sistema è un po’ come quella tra Coppi e Bartari, ogni appassionato ha il suo credo, e non esistono verità assolute, ma solo preferenze personali, frutto dell’esperienza e delle proprie inclinazioni.